Le persecuzioni del terzo millennio



Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buo­na volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamen­to della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata con­dannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profe­ta Maometto. Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico de­­litto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica”.
Inizia così la lettera di Asia Noreen Bibi, imprigionata in Pakistan a causa della sua fede cristiana: la sua vicenda è solo parzialmente nota, ma ciò che è evidente agli occhi di tutti è la grave violazione dei più basilari diritti dell’uomo, primo su tutti la libertà di religione. Il caso di Bibi non è l’unico, purtroppo, ma è solamente uno dei 200 milioni di casi di cattolici perseguitati nel mondo.
Il rapporto dell’associazione internazionale ACS (aiuto alla Chiesa che Soffre) di oltre due anni fa lancia l’allarme, dovuto alla facilità con cui si ridicolizza la Chiesa in alcuni Paesi del mondo sviluppato: si è spesso sentito dire che la cosiddetta “primavera araba” ha avuto come conseguenza un “autunno” per i cristiani di quelle zone: difatti buona parte delle violenze è localizzata nei Paesi a maggioranza musulmana che vivono in questi ultimi mesi instabili situazioni a livello politico e sociale. In particolare vengono considerati ad alto rischio i cristiani in Siria, Libia, Egitto e Tunisia, dove i gruppi integralisti islamici rischiano di prendere il sopravvento sulle forze più moderate che avevano consentito di mantenere la calma negli ultimi anni.
E tuttavia se le zone più calde sono il Nordafrica, il Medioriente, l’Africa Centrale e il subcontinente indiano, anche il Vecchio Continente lancia segnali allarmanti: il ministro Terzi, in una recente intervista, ha affermato che “deve essere parte dell’azione dell’UE una campagna a difesa della libertà religiosa, oltre che della libertà in genere. Una campagna di cui devono esser protagonisti non solo i governi, ma anche i media e i grandi centri studi. Perché il fatto che in Europa molti credenti si rivelino timorosi di professare in pubblico i propri convincimenti è un elemento molto negativo per le nostre società, che finisce con il toccare proprio i diritti umani e le libertà fondamentali”.
E’ dunque compito di ogni parte dell’informazione nazionale, in ogni sua forma, proteggere la libertà di religione, di espressione, all’insegna di una cultura del rispetto che sembra sempre più lontana dalla nostra società.

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