La
nascita della Repubblica Italiana, il sogno politico di Mazzini, il peggior
incubo dei Savoia, un evento storico le cui controverse vicende gettano ancora
ombre sull’inconfessabile probabilità di un broglio elettorale in occasione del
referendum istituzionale che decretò la fine della monarchia. Una data quella
del 2 giugno, scelta all’epoca poiché anniversario della nascita di Giuseppe
Garibaldi, che, nonostante tutto, festeggiamo, riconoscendo in essa la
ri-nascita della patria. L’uscita dalla dolorosa esperienza della guerra
civile, al contrario di quanto accadde per l’antica Roma, significò per
l’Italia il passaggio dalla dittatura alla democrazia nonchè una totale rottura
ideologica con un triste passato da dimenticare e riscattare. Tra gli elementi
troppo compromessi con il Fascismo da poter passare indenni le epurazioni
indette persino contro maestre e segretarie: coloro che di Mussolini avevano
permesso l’ascesa: i Savoia. Per questo motivo, Vittorio Emanuele III il 9
maggio abdicò, come Carlo Alberto a Novara nel 1849, a favore del figlio,
Umberto II, un nome legato a presagi tutt’altro che propizi. Il secolo XX, infatti, era stato
battezzato funesto per l’Italia, proprio col sangue di re Umberto I, assassinato
a Monza nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci. Con l’abdicazione la corona
sperò di riaccreditarsi agli occhi degli Italiani, attraverso un’immagine più
fresca di quella di un re colluso con il Fascismo e fuggito nell’ora della
prova per la patria; le forze della Resistenza, invece, considerarono finita la
tregua istituzionale aperta da Togliatti a Salerno e indirono il referendum del
2 e 3 giugno, contestualmente all’elezione dei membri dell’Assemblea
Costituente. Fu la prima volta alle urne per le donne italiane e si pensò che
anche questo avrebbe contribuito ad una vittoria annunciata della Repubblica,
dato l’orientamento in tal senso delle maggiori forze politiche: non solo le
Sinistre per una lunga tradizione ideologia ma anche la moderata Democrazia
Cristiana, come nelle intenzioni di De Gasperi e come emerso da un piccolo
referendum interno.
La scheda di voto del Referendum Istituzionale |
A tal proposito lo statista democristiano scommise con
Pietro Nenni, leader del Partito Socialista, che il suo Trentino avrebbe
portato alla Repubblica più voti dell’Emilia Romagna, regione natale di
quest’ultimo: le urne gli dettero ragione, come dettero ragione alla causa
repubblicana. Eppure lo scarso margine con la Monarchia, nemmeno 2 milioni di
voti, fu minore rispetto alle aspettative, certo più incoraggianti se si
considera quel rinnovamento generale preconizzato dalla volontà di rompere con
il passato. L’arrivo a Roma, nella notte, dei risultati dello spoglio dei voti
nelle circoscrizioni meridionali, fece scrivere a De Gasperi, all’alba del 4
giugno, che sic stantibus rebus era plausibile una vittoria monarchica. Il
giorno successivo, tuttavia, il Ministro Giuseppe Romita, annunciò i risultati
definitivi: Repubblica 12.182.155 voti, Monarchia 10.362.709. Inizialmente
anche i Savoia accettarono con rassegnata accoglienza l’esito elettorale,
mentre due giorni dopo alcuni giuristi di Padova presentarono ricorso per i
brogli intercorsi nella fase di scrutinio. Si pensò che gli scrutatori inviati
nelle varie circoscrizioni dal Ministro di Grazia e Giustizia, Togliatti
(convinto repubblicano) avessero, di volta in volta, operato dei piccoli
brogli, variando i risultati a favore della Repubblica in modo tale, tuttavia,
da non influenzare l’andamento generale della particolare circoscrizione:
sommando tutti questi contributi potè essere raggiunta la cifra dei 2/2.5
milioni di voti decisivi. Una simile ricostruzione sarebbe permessa dalla
mancanza di supervisori alle operazioni di spoglio che la legge imponeva, in
nome di un’assoluta segretezza. Ad alimentarla furono la fretta con cui si
bruciarono le schede, la scomparsa di un milione e mezzo di schede bianche (da
conteggiare a favore della monarchia così come i voti nulli) e il modo del
tutto singolare, benché procedurale, con cui il Presidente della Cassazione,
Giuseppe Pagano, il 10 giugno annunciò il risultato: leggendo il totale dei voti a favore
dell’una e dell’altra parte ma non proclamando il vincitore. Il segretario di
Togliatti, Caprara, racconterà che una simile modalità di annuncio alla nazione
era stato ordinato dallo stesso Togliatti, il 5 giugno.
Umberto II, "il re di maggio" |
Ciò potrebbe
accreditare la tesi dei brogli, mostrando la coscienza poco pulita del leader
del PCI e dunque la necessità di non mostrare troppo il misfatto. Tuttavia
Togliatti agì così poiché era pienamente consapevole dell’incertezza del
risultato e dunque della necessità di ulteriori verifiche e ricorsi. Andava
altresì tenuto conto della delicatezza del momento storico: quasi la metà degli
Italiani era fedele ai Savoia e quindi era bene non sbandierare troppo una
vittoria repubblicana, consumatasi tra mille sospetti, per evitare l’insorgere
di insurrezioni popolari come quelle che effettivamente avvennero nel Meridione
e che solo nella monarchica Napoli causarono 4 morti. Inoltre la tesi di tanti
piccoli brogli trova un sostanziale ostacolo nel fatto che dei complici e
testimoni dell’impercettibile ma costante spostamento dei voti a favore della
repubblica nelle varie circoscrizioni, nessuno negli anni successivi confessò
il fatto o fece emergere nulla: cosa improbabile dato l’enorme numero di coloro
che avrebbero, ipoteticamente, partecipato al broglio e la facile fama che si
sarebbero guadagnata con una testimonianza, capace di riscrivere le pagine
della Storia Italiana. E ancora, la tesi dei brogli troverebbe un’inimpugnabile
confutazione nella contestuale schiacciante vittoria dei partiti repubblicani
alle elezioni per l’Assemblea Costituente (2/3 dei voti vennero raccolti da DC,
PSUP e PCI). Ciononostante non mancarono certo scelte azzardate e polemiche
come la frettolosa cacciata del re quando ancora il risultato del referendum
era provvisorio e la Cassazione doveva pronunciarsi sulla denuncia dei brogli.
Umberto II, che pure partì in aereo nonostante una tempesta, si disse cacciato da
un governo che avrebbe in spregio alle
leggi ed al potere sovrano e indipendente della magistratura, compiuto un gesto
rivoluzionario, assumendo con atto arbitrario e unilaterale poteri che non gli
spettavano. De Gasperi rispose: Un
periodo che non fu senza dignità si chiude con una pagina indegna. Un’affermazione
che mostra l’asprezza del dibattito politico e la sincera paura da parte della
Costituente che il re avrebbe potuto dar vita ad un altro Governo, rigettando
il Paese nella Guerra Civile, come quella che si sfiorerà nuovamente, due anni
dopo, con l’attentato a Togliatti. Fatti che mostrano il carattere affatto
roseo dell’uscita dalla guerra e dal Fascismo e il dramma della costruzione di
una nuova Italia che, più di ogni altra nascita, passò per le dolorose
doglie del parto.